24 novembre 1948 – Bondeno (Ferrara)

Nel corso di una manifestazione per richiedere la gestione diretta del collocamento al lavoro, le forze di polizia aprono il fuoco uccidendo il contadino Fernando Ercolei e ferendone altri 10.

24 Novembre 1971: guerriglia a Milano tra polizia e studenti

Il corteo, composto da circa 3000 studenti, cerca di dirigersi verso il Provveditorato degli studi ma viene bloccato da un ingente schieramento di forze dell’ordine, che hanno ricevuto ordine di impedire lo svolgersi della manifestazione; in breve si arriva allo scontro e la zona attorno a piazza del Duomo e alla Statale viene paralizzata da quattro ore di guerriglia.

I giovani che animano gli scontri hanno ancora vivo il ricordo di Saverio Saltarelli, lo studente ucciso un anno prima da un candelotto lacrimogeno durante la battaglia di via Larga e, agli inviti della questura a sciogliere il corteo in quanto non autorizzato, rispondono con una fitta sassaiola contro i blindati e le forze dell’ordine che continuano ad affluire per contrastare la crescente determinazione degli studenti.

In tarda mattinata il corteo riesce a sfondare i cordoni della polizia e a raggiungere la Statale, dove si sta tenendo un’assemblea del Movimento Studentesco; qui la battaglia si intensifica quando centinaia di poliziotti e carabinieri in assetto da guerra riescono ad irrompere nel cortile della facoltà ma si trovano di fronte migliaia di studenti medi ed universitari che cercano di respingerli con lanci di oggetti e scontri corpo a corpo.

L’aria è irrespirabile per le centinaia di lacrimogeni sparati e rilanciati verso gli agenti e le forze dell’ordine riescono a sgomberare l’edificio solo nel pomeriggio.

A fine giornata il bilancio è di sessanta agenti feriti e quasi 400 studenti fermati e portati in questura; dopo gli interrogatori 11 di questi, di cui 5 minorenni, vengono arrestati per resistenza ed oltraggio, molti altri i denunciati a piede libero.

Nel frattempo gli studenti, usciti dalla Statale, si muovono nuovamente in corteo ed occupano il rettorato, rilanciando su una nuova data di mobilitazione per il 30 Novembre.

“Cremona 2015 non è ancora finita”: su devastazione e saccheggio e l’uso strumentale del reato

Un approfondimento sull’articolo 419 del codice penale, quello conosciuto come il reato di “devastazione e saccheggio”.

Lo ha fatto Matteo con una lettera (vedi sotto), compagno leccese che venne arrestato per la grande giornata antifascista a Cremona del gennaio 2015, indetta dopo un agguato fascista che portò Emilio, un attivista del centro sociale Dordoni, in coma.

Una vicenda processuale che coinvolge lui come molti altri attivisti e manifestanti, colpiti da “devastazione e saccheggio” attraverso l’uso strumentale del reato stesso. Con la lettera e l’appello di Matteo torniamo a parlare di questo tema per non dimenticare questa vicenda, per ricordare lo stato del processo e quella giornata di lotta, anche attraverso il fondo comune che è stato aperto per sostenere le realtà che si oppongono a questo reato.

L’intervista a Matteo, compagno leccese accusato di “devastazione e saccheggio”. Ascolta o Scarica.

Di seguito la lettera.

Ciao a tutte e tutti,

sono Matteo, uno degli arrestati per la grande giornata antifascista del 24 gennaio 2015 a Cremona. Il 10 dicembre nel Palazzaccio di Giustizia di Brescia, ancora una volta, si terrà una triste e grigia udienza, presieduta da altrettanti tristi e grigi togati, che determinerà il mio prossimo futuro: come scontare, cioè, la pena divenuta oramai definitiva ad anni 3 e mesi 8 per il reato numero 419 del codice penale – alias l’ignobile devastazione e saccheggio.

A più di quattro anni da quel 24 gennaio, Cremona 2015 ancora non è finita.

In tantissimx di sicuro ricorderete i giorni di rancore, frustrazione e dispiacere che precedettero quella dirompente manifestazione e le notizie che giungevano dalla città dei violini, nella quale un compagno era stato massacrato durante un vile agguato fascista.

Quella volta il limite si era ampiamente superato, Emilio lottava fra la vita e la morte.

Ricorderete come in quella giornata, in migliaia, generosamente e coraggiosamente, decisero in prima persona e con i propri corpi di riempire le strade della città e di rispondere con determinazione alla vile aggressione operata da Casapound.

Arrivammo a Cremona per ribadire con fermezza che episodi di quel tipo non fossero più tollerabili e che fosse necessario, e sempre più urgente, opporsi con tenacia alla presenza di sedi fasciste, a Cremona ed altrove.

E quel meraviglioso sabato lo dimostrò ampiamente.

Il freddo pungente, l’odore acre dei lacrimogeni, l’assetto da guerra che ci accolse, non fermarono un corteo numeroso e determinato, che cercò in tutti i modi di raggiungere la sede cittadina dei seminatori di odio.

Attraversammo le strade della città, carichi di ira e di apprensione nel sapere un compagno quasi in fin di vita per mano dei camerati del terzo millennio e di quelle istituzioni che ancora una volta si erano distinte per la loro ambiguità e il loro atteggiamento da Giano Bifronte; da un lato, con la solita disgustosa retorica politichese, condannavano fermamente l’inaccettabile episodio di violenza, dall’altro, nel tempo e in passato, molto, troppo, avevano fatto per contribuire allo sdoganamento e alla legittimazione nei territori di Casapound e di altri rigurgiti nostalgici.

Era davvero troppo tardi per rimanere calmi.

Il fiume in piena quel pomeriggio dilagò rompendo qualsiasi tipo di argine.

La volontà giudiziaria riguardo i fatti di Cremona, fu quella di fare in fretta, di concludere quanto prima. Il ricorso ad una tipologia di reato come quella dell’art.419 – che evoca scenari apocalittici di manzoniana memoria, propri di una guerra civile – e le conseguenti condanne, evidenziarono una totale complicità dello stato nell’avallare istanze neofasciste e xenofobe.

Ciò si rese ancor più evidente nel corso delle molteplici udienze, nei vari gradi di giudizio, incentrate sul tentativo di equiparare un’aggressione di matrice politica ben precisa ad una rissa e ad uno scontro tra bande. In tali sedi, inoltre, si è sostenuto, più e più volte, che fascismo ed antifascismo sono categorie storiche ampiamente superate, alla faccia di chi, proprio da chi si definisce fascista, era stato ridotto in fin di vita.

Come spesso accade in questi casi, si “colpì nel mucchio”, riesumando quel “reato dormiente” – almeno sino alla fine degli anni ’90 – di Devastazione e saccheggio, ereditato dal fascistissimo Codice Rocco del 1930 e mai riformato, già utilizzato per i fatti di Genova 2001, Milano 2006, Roma 2011, (successivamente anche a Milano in occasione di Expo 2015).

L’articolo 419 c.p. prevede pene detentive che vanno dagli 8 ai 15 anni e mira a colpire individui e movimenti nella loro fase aggregativa, in contesti di mobilitazione di piazza. Si tratta di un capo d’accusa utilizzato, ancora una volta, come efficace strumento di contrasto della conflittualità sociale poiché mira a dispensare condanne pesantissime e a ‘devastare’ movimenti o grandi giornate di opposizione diretta.

Nella fattispecie cremonese, la tesi accusatoria affondò i suoi presupposti non concentrandosi sui “gravi comportamenti delittuosi e i molteplici danni” che scaturirono dalla rivolta antifascista, bensì affermando e sottolineando il fatto che la quiete, la pace e la ‘stasi sociale’ era stata turbata e messa in pericolo, individuando essa stessa, quindi, come condizione “normale” ed imprescindibile della società, da preservare con il massimo impegno e rigore.

La volontà, dunque espressa quel sabato, di ribadire con determinazione e fermezza che agguati nostalgici avallati da ambigui comportamenti istituzionali non erano più accettabili e tollerabili, si scontrò con l’inammissibile interruzione della “normalità”, della “pace sociale” e del “decoro urbano” della piccola provincia lombarda.

Senza dilungarmi troppo su come la terminologia che costituisce questo tipo di reato da un punto di vista semantico sia stata totalmente avulsa, storpiata e distorta dal potere costituito e dall’apparato giudiziario (cosa si intende per devastazione? cosa si intende per saccheggio? la precarietà di futuro e di vita a cui ci costringono può essere definita normale mentre il danneggiamento di 3 istituti bancari devastazione?!?!).

Credo sia bensì necessario cercare quanto prima di riflettere, discutere e confrontarci per tutelarci e difenderci da questo tipo di dispositivo giudiziario, oramai ampiamente sdoganato.

Di frequente – a partire dall’uso strumentale ed improprio di tale reato per le contestazioni di Genova 2001- le giornate di grande mobilitazione che hanno visto la partecipazione di numerosissimx compagnx e che sono sfociate in dure e dirette pratiche di opposizione, hanno subìto questo tipo di repressione e la conseguente mannaia della sovra-determinazione giuridica.

La peculiare caratteristica del reato e le sue pene così elevate, sembrano particolarmente adatte a colpire situazioni di conflittualità di piazza molto diverse tra loro e spesso si è rivelato quanto mai difficile e complicato costruire percorsi di vicinanza e solidarietà ampi e duraturi nei confronti degli imputati e delle imputate.

I lunghi tempi processuali, le possibili gravità delle condanne, l’etichettamento diffamatorio da parte di organi statali e dell’opinione pubblica, le varie e variegate scelte processuali nell’affrontare processi in cui spesso sono solo e soltanto i giudici a decidere se una particolare situazione corrisponda o no alla fattispecie dell’articolo, seguendo criteri fumosi e alquanto contraddittori, hanno contribuito ad un disgregamento di percorsi solidali e di lotta orientati a contrastare tale dispositivo.

Non ho risposte e quantomeno risoluzioni adatte.

Qualche anno fa, quando correvano simultaneamente nelle procure di Roma, Milano e Cremona tre accuse di devastazione, si cercò insieme a tanti compagni e tante compagne generosx, fra cui l’infaticabile e inarrestabile Peppino, di mettere insieme e di far partire un percorso legato strettamente al reato di devastazione e saccheggio.

Credo sia necessario riprendere questo percorso.

Io, insieme a tantx compagnx e solidalx abbiamo una grande voglia di metterci in gioco e capire come e con quali mezzi si possa smontare tale reato, sia da un punto di vista politico sia da un punto di vista giudiziario/processuale, magari anche partendo dalla mia esperienza.

Intanto, abbiamo deciso assieme all’Associazione Bianca Guidetti Serra – che da anni si occupa di fornire sostegno legale e di affrontare tematiche come il carcere e la repressione dei movimenti sociali– di creare un fondo comune per sostenere le realtà che si oppongono a questo reato.

Vi abbraccio forte e ringrazio chiunque stia spendendo ogni singola energia in vista della prossima tappa giudiziaria.

Matteo

Info: articolo419lecce@libero.it

da Radio Onda d’Urto

Luca Fanesi ridotto in fin di vita dalle manganellate della polizia. Il Gip archivia

Il Gip del Tribunale di Vicenza ha accolto la richiesta di archiviazione formulata dai pubblici ministeri titolari dell’inchiesta sul ferimento del tifoso della Sambenedettese Luca Fanesi avvenuto il 5 novembre 2017 fuori dallo stadio Menti di Vicenza alla fine della partita Vicenza – Samb. Il giudice per le indagini preliminari ha rigettato le richieste avanzate con atto di opposizione dall’avvocato Fabio Anselmo.

Luca Fanesi, 45 anni, è un tifoso della Sambenedettese – squadra di calcio di serie C – finito in coma il 5 novembre del 2017 al termine della partita Vicenza – Samb, quando tra le due tifoserie rivali si verificarono dei disordini sedati da un intervento della polizia. Luca non prese parte a quei tafferugli ma venne gravemente ferito alla testa e – soccorso – ai medici dell’ambulanza raccontò di essere stato manganellato dagli uomini delle forze dell’ordine in assetto antisommossa. Poi finì in coma per un mese. Quei colpi avrebbero causato al 45enne la “frattura a decorso longitudinale della mastoide di destra, una frattura peritura lamboidea di destra estesa alla squama dell’occipitale, una frattura della squama del temporale di destra e una frattura delle ali dello sfenoide di destra e della parete laterale destra del seno sferoidale”. Nel referto medico inoltre si faceva riferimento a un ematoma dello spessore di 11 millimetri nella parete occipitale destra e di “focolai contusivo-emorragici in sede fronto-vasale”. La Questura vicentina affermò che Fanesi era caduto accidentalmente urtando la testa su un cancello, circostanza smentita da alcuni testimoni che riferirono di aver visto degli agenti sferrare delle manganellate.

I familiari di Luca Fanesi: “Vogliamo giustizia”

Per questo la decisione del GIP di archiviare il caso suona ai familiari di Luca Fanesi come una beffa. Max, suo fratello, ha commentato la decisione del giudice: “Il decreto di archiviazione contiene tanti e tali errori nella ricostruzione dei fatti e degli atti che non ci consente in alcun modo di mettere la parola fine a quanto successo a Gianluca. Le testimonianze di alcuni tifosi vengono travisate dal Gip per affermare che Gianluca non è stato colpito dagli agenti, quando invece i testimoni hanno semplicemente detto che dalla loro posizione non hanno visto o non potevano vedere. E’cosa ben diversa dall’affermare che molti testi ‘hanno visto’ che non è stato colpito”.

“Il Gip – continua Fanesi – sbaglia anche nel leggere le stesse relazioni della Digos: troppe volte il Gip afferma che determinati testi non sono nemmeno stati individuati sul posto tramite i filmati e sarebbero quindi inattendibili, mentre invece le stesse indagini della Digos li hanno individuati e collocati proprio dove i testi avevano detto di trovarsi. Sbaglia anche e grossolanamente purtroppo quando afferma che noi avremmo individuato Gianluca nel soggetto che nel video avrebbe le mani alzate: nel nostro atto di opposizione abbiamo scritto proprio il contrario, dando anche un nome a questa persona. Peraltro negli stessi termini della Digos che ha compiuto le indagini.
A tacere del fatto che dalle indagini era emerso che Gianluca aveva detto ai sanitari di aver ricevuto una manganellata,circostanza estremamente rilevante che si è scelto di non approfondire senza dare alcuna giustificazione”.

Max Fanesi contesta inoltre il fatto che il giudice non abbia disposto alcun accertamento medico e non si sia “confrontato nemmeno con le immagini del volto di Gianluca riprese dai filmati che testimoniano tumefazioni al volto, oltre che la ferita alla testa. È un provvedimento del tutto inidoneo a rendere giustizia di quanto è successo e precorreremo tutte le strade nazionali ed europee affinché a quanto accaduto a mio fratello sia restituita verità e giustizia”. A difendere Luca fanesi è Fabio Anselmo, legale che ha seguito anche il caso di Stefano Cucchi.

Davide Falcioni

da Fanpage

Cariche della polizia al comizio di Salvini, attivista minacciata: “T’infilo il manganello nell’ano”

La denuncia shock di una manifestante di un collettivo di sinistra, che ieri ha partecipato alla contestazione contro Salvini: “Sono stata presa e trascinata fuori dalla folla, mi hanno preso e buttata a terra, presa a manganellate e trascinata lontano dalle telecamere per il collo fino quasi a non avere più respiro”.
Circa duemila manifestanti si sono dati appuntamento in Piazza della Repubblica a Firenze, poco lontano Piazza Strozzi, dove si è svolto poi il comizio del vicepremier leghista Matteo Salvini, a sostegno del candidato sindaco di centrodestra Ubaldo Bocci. Intorno alle 20:20 un centinaio di persone aderenti a diversi collettivi, tra cui Iam (Iniziativa antagonista metropolitana), Cua (Collettivo universitario autonomo), Cas (Collettivo antagonista studentesco) e Collettivo femministe Spine nel fianco hanno tentato di forzare il cordone a Piazza Strozzi e sono stati a più riprese respinti dagli agenti di polizia. Dopo le due cariche di alleggerimento iniziali la polizia è intervenuta di nuovo per respingere un tentativo di sfondamento. Gli scontri hanno provocato diversi feriti, come hanno denunciato in un post su Facebook il sito web ‘Firenze dal basso’, che ha pubblicato le foto di una giovane attivista che mostra segni evidenti di lividi in diverse parti del corpo. La ragazza è stata letteralmente assalita dagli agenti e ha riferito di aver subito pesanti offese verbali, con minacce e percosse.
Questa la sua testimonianza:



Ieri 19 Maggio durante una carica di “alleggerimento” delle forze dell’ordine di Matteo Salvini sono stata presa e trascinata fuori dalla folla, dietro ai giornalisti, 3 agenti ( a cui se ne sono aggiunti 2 successivamente) mi hanno preso e buttata a terra, presa a manganellate e trascinata lontano dalle telecamere per il collo fino quasi a non avere più respiro,messa a terra , minacciata di infilarmi “il manganello nell’ano se non stavo ferma Immobilizzata, identificata , sono stata rilasciata perché “il pezzo grosso” ha dichiarato che non avevo fatto niente e che stavano esagerando. Umiliata, con i vestiti a brandelli sono stata rilanciata nella folla senza nessun rispetto. Quello che è successo ieri fa male al cuore , alla speranza , alla voglia di esserci , di manifestare i propri pensieri e il proprio dissenso dal disastro che si sta creando. Non dimenticherò mai lo sguardo dell’agente che mi ha assalito. Il suo sorriso, la sua soddisfazione nell’esercitare un potere forte ,mero, privo di animo , su esseri umani che lottano ogni giorno per un mondo diverso mi ha sconvolto e addolorato più di ogni altra cosa . L’umanità perduta , il sopruso sessuale su una donna ,il calpestare la dignità altrui.
Se questo è un uomo.

Bologna. I fascisti No pasaran! Tutti in piazza oggi

Dal 13 maggio 2000 al 16 febbraio 2018, ogni volta che Roberto Fiore e i fascisti di Forza Nuova hanno provato di mettere piede a Bologna migliaia di antifasciste e antifascisti sono scesi in piazza, non sottraendosi, quando è stato necessario, alla battaglia di strada.
Quelli di Forza Nuova sono fascisti della peggior specie, seminatori di odio razziale, di sessismo, omofobia e catto-integralismo. Promuovono orgoglio nazionalista e mantenimento della “purezza etnica”, fanno campagne per il blocco dell’immigrazione, la costruzione di muri e reticolati per impedire la libera circolazione delle persone. Si battono per distruggere i diritti di cittadinanza universali, il divorzio e l’aborto. Sono contrarissimi alle “teorie del gender” e allo ius soli che, secondo loro, avvierà la “sostituzione etnica”. 
Predicano e praticano un’ideologia violenta che si fonda sulla repressione e sulla sottomissione delle donne, degli omosessuali, delle persone che seguono religioni diverse da quella cristiana, di quanti non hanno il “bianco” come colore della pelle.
Il loro “matrimonio indissolubile” si basa sul lavoro delle donne tra le mure domestiche e una specie di cottimo per chi sforna figli, chiamato “reddito di maternità”, erogato a “tutte le madri che dimostreranno di essere impegnate esclusivamente nell’ambito familiare”.
Come i fascio/leghisti e come Casa Pound fabbricano a ciclo continuo false paure, producendo bufale diversive, nemici fittizi e capri espiatori. Quando intercettano pulsioni e malcontenti sociali, li incanalano in una squallida guerra tra poveri, in un conflitto basato sull’egoismo sociale dove la miseria di persone in difficoltà verrebbe intaccata dalla povertà di altri esseri umani.
Il loro luogo ideale sarebbe l’Alabama della segregazione razziale e dell’aborto considerato come delitto da carcere a vita, ma si accontentano dello sdoganamento ricevuto dagli editti salviniani e dalle politiche antimigratorie del governo “lega/stellato”.
Nelle porcate che hanno messo in campo in questi mesi si sentono politicamente coperti dal “fascismo istituzionale” che li spalleggia. Se non fosse così non ci sarebbero state le false barricate contro l’arrivo dei profughi (spesso bambini) in qualche quartiere di periferia. Non ci sarebbe stata la vergognosa vicenda del pane calpestato a Torre Maura o l’assedio alla famiglia rom di Casal Bruciato per l’assegnazione di un alloggio popolare. Non si sentirebbero legittimati a negare il diritto all’esistenza per migranti e rom e a minacciare persone, come Mimmo Lucano o volontari di associazioni che lavorano sull’accoglienza e sulla solidarietà.
PER TUTTE QUESTE RAGIONI
LUNEDI’ 20 MAGGIO ALLE ORE 17.00
SAREMO IN PIAZZA MAGGIORE,
PER NON LASCIARE NEANCHE UN CENTIMETRO DI SUOLO PUBBLICO ALLE “TESTE DI FASCIO” DI FORZA NUOVA!

Non dobbiamo lasciare che i fascisti guadagnino terreno. Dobbiamo avere ben chiaro che se non si è attivamente e convintamente contro fascisti e nazisti, si è loro complici.
Tacere di fronte alle violenze fasciste, minimizzarle o derubricarle a elementi di nostalgico folklore, significa esserne conniventi.
Essere antifascisti vuol dire praticare la (più che legittima) difesa contro chi predica queste nuove forme intolleranti e discriminatorie di totalitarismo.
Molte delle strade di questa città sono dedicate ai caduti della Resistenza, più di duemila sono le formelle con i ritratti e i nomi dei caduti partigiani di Bologna raccolte al Sacrario di Piazza Nettuno; quei ragazzi e quelle ragazze che diedero la vita per liberare il nostro paese dalla dittatura mussoliniana non lo fecero per permettere oggi alle carogne fasciste di uscire dalle fogne.
Vorremmo per una volta che ci fosse risparmiata la retorica del “non sono d’accordo con le tue idee ma farò di tutto perché tu le possa esprimere”.
IL FASCIMO NON E’ UN’OPINIONE, E’ UN CRIMINE.
E, come diceva Buenaventura Durruti, «Al Fascismo no se le discute, se le destruye»
NO PASARAN!

Napoli 16 maggio 1975: la polizia uccide il pensionato Gennaro Constantino

La polizia carica i disoccupati organizzati che hanno occupato gli uffici anagrafici del Comune, a piazza Dante. La celere invade e sgombera gli uffici entrando dalla sacrestia della chiesa attigua all’edificio. Gli scontri dilagano in piazza.

Le cariche estremamente violente coinvolgono non solo i dimostranti ma i tanti cittadini presenti  in una delle piazze più frequentate del centro storico, provocando 34  feriti e un  morto, Gennaro Costantino, un pensionato militante del Pci, travolto da un jeepone della celere che fa lo slalom sui marciapiedi.

La polizia sostiene che il mezzo era privo di conducente, sbalzato dal posto di guida in seguito a sbandamento.

Numerosi sono gli arrestati fra i dimostranti, che si sono difesi con sassaiole, impegnando la polizia in scontri duri. L’episodio rappresenta un salto di qualità nel movimento di lotta dei disoccupati organizzati che si è cominciato a sviluppare a partire dalle lotte dei cantieristi dopo il colera dell’estate del 1973.

17 maggio 1949 – Molinella (Bologna)

Nel corso di uno sciopero generale dei braccianti in Val Padana, è ferita da un colpo di fucile al braccio la socialista Adele Toschi e la mondina Maria Margotti viene falciata da una raffica di mitra, mentre altre 30 persone sono ferite.

Bruxelles – Senzatetto ferito durante un’aggressione poliziesca condannato a 5 anni di carcere!

Lunedì 17 settembre alle 9, un uomo senzatetto che dormiva sul marciapiede nei pressi della Gare du Nord, cade sotto i colpi di armi da fuoco di una delle tante pattuglie di guardie che perlustrano la zona a caccia di persone senza documenti. Gli sparano 3 pallottole. La persona, ferita, viene portata in ospedale. L’uomo aggredito si chiama Ahmed Elasey ed è stato condannato dallo stesso Stato che lo ha ferito a 5 anni di galera.

Qui di seguito la traduzione del comunicato di una campagna di solidarietà e raccolta fondi a sostegno di Ahmed e anche per la copertura delle spese processuali:

“Ahmed Elasey è un senzatetto che dormiva su dei cartoni vicino alla gare du Nord (Bruxelles). Non è raro che sia molestato dalla polizia che a volte gli sequestrava anche quello che possedeva… Il 17 settembre 2018, diversi poliziotti arrivano un’altra volta per farlo sloggiare, ma Ahmad Elasey si rifiuta, si siede per fumare una sigaretta e si vede minacciato da un poliziotto con il suo manganello. In preda alla paura e volendo essere lasciato in pace si alza per andarsene, con il suo coltellino in mano. Spruzzato e accecato dallo spray dei poliziotti, sbattuto contro un muro, picchiato, bloccato, viene preso di mira da un poliziotto che gli spara tre colpi. Uno lo colpisce all’addome, l’altro alla gamba mentre continuano a prenderlo a calci…Alla fine Ahmad è ricoverato in terapia intensiva!
Nonostante tutto questo, l’accusa non sostiene che si tratti di un caso di violenze poliziesche. Anzi, al contrario parla di “un’aggressione con coltello contro un poliziotto: l’autore presunto senzatetto è in uno stato stabile” precisando che si tratta di un belga di origine egiziana. Alcuni potrebbero così immaginare un delitto di qualche balordo…
Imprigionato nonostante necessitasse ancora di cure mediche, è accusato di: tentato omicidio!
In maniera del tutto sorprendente se si considera la consueta lentezza della giustizia, compare in tribunale nel dicembre 2018. Al momento del verdetto, il 21 gennaio 2019, il giudice precisa che il rapporto dei poliziotti indica che Ahmed avrebbe fatto “no” con la testa che gli è utile per non aprire un’inchiesta per i “colpi e le ferite”. Il giudice ritiene che il signor Ahmad “persista nel dormire per strada e che sono state prese sufficienti misure di prevenzione poiché era “manifestamente determinato a combattere”. Del resto, Ahmad vive ai margini e non sembra voler sottomettersi alle regole della società. Per questa ragione rifiuta di concedergli la sospensione della pena.
La sentenza è di 5 anni di prigione, più il pagamento delle spese processuali e di 1000 euro di danni materiali e morali.
Ahmed Elasey è vittima di una politica, quella di scacciare i poveri dallo spazio pubblico.
Queste misure, generalmente prese in nome della sicurezza, assimilano i poveri a dei delinquenti o addirittura a criminali. Le attività quotidiane di una persona senza tetto possono facilmente trasgredire le regole, lasciando agli agenti di polizia un grande margine per decidere chi “minaccia la sicurezza pubblica”. Sembra quasi che sia illegale essere un senza tetto. Un chiaro esempio ne è Ahmed Elasey.
In effetti, il modo in cui la giustizia tratta questi particolari cittadini pone oggi un problema.
Questa violenza contro un uomo a terra, senza risorse, accecato e minacciato dalle forze dell’ordine è perfidamente girata a profitto dei poliziotti aggressori. La vittima condannata!
A tutto ciò noi opponiamo il nostro rifiuto e la nostra rivolta.
Noi non vogliamo essere complici della politica repressiva dello Stato belga.
Noi manifestiamo tutta la nostra solidarietà con Ahmed Elasey.
La solidarietà che si organizzata attorno a Ahmed gli ha permesso di avere un avvocato e di fare  appello.
Questo 23 maggio, siate numerosx a mostrarvi solidali e denunciare questa erroneamente chiamata giustizia che condanna le vittime delle violenze di stato.
Riunione alle 8:30 davanti al Palazzo.
Manifestiamo la nostra solidarietà con Ahmed Elasey e lanciamo una campagna di raccolta fondi per lui e le sue spese processuali.
C/C BE50 0003 8318 0918 (Nadine Saidi) Da specificare Soutient Ahmed.

Francia – Rivolta incendiaria nel centro di detenzione di Saint-Jacques-de-la-Lande a Rennes durante l’espulsione di un migrante

La notte tra giovedì 9 e venerdì 10 maggio, verso le 3:00 del mattino, i poliziotti sono entrati negli edifici del centro di detenzione amministrativa (CRA) di Saint-Jacques-de-la-Lande (Ille-et-Vilaine), vicino Rennes, dove i migranti in attesa di espulsione vengono imprigionati.  Nel bel mezzo della notte, il loro sporco lavoro consisteva nel deportare forzatamente una persona priva di documenti, colpita dall’obbligo di lasciare il territorio francese, mettendola su un aereo.  Anche se l’uomo alla fine è stato rimandato “nel suo paese” (sic), questa espulsione non è passata stavolta sotto silenzio… perché altri reclusi hanno voluto darne notizia nel più bello di modi…

“Circa dieci migranti hanno preso materassi e biancheria da due edifici.  Hanno acceso il fuoco con la carta igienica.  Alcuni rivoltosi sono riusciti a salire sul tetto di uno degli edifici per esprimere la loro rabbia.”
Gli agenti di polizia, di guardia al CRA, sono riusciti a spegnere gli incendi con estintori prima che i pompieri intervenissero. Tuttavia, entrambi i locali sono stati seriamente danneggiati dal fumo causato dagli incendi dei materassi.  Sono stati chiusi e sono attualmente inutilizzabili. Rinforzi della polizia sono stati inviati al CRA per “controllare i rivoltosi che non volevano scendere dal tetto”.  Altri sono stati mobilitati per trasferire alcuni dei detenuti ad altri CRA.

La capacità di confinamento del CRA è ora 25 persone invece delle solite 40.  Questo venerdì sera risultano reclusx 32 uomini e due donne a Saint-Jacques. Tre persone sono state trasferite nella prigione per migranti di Oissel, vicino a Rouen (Senna Marittima).  Altri due, originari del Sudan, sono stati rimessi in libertà. È stata avviata un’indagine per identificare i rivoltosi, cosa che sarà senza dubbio facilitata dalle telecamere di videosorveglianza in servizio in questa prigione che non è definita tale.

Ricordiamo che alcuni mesi fa, il periodo di reclusione previsto per legge nei CRA è stato aumentato da 45 a 90 giorni, da quando cioè è stata approvata la nuova legge sull’asilo e l’immigrazione.

Solidarietà con i migranti in rivolta!