L’odio o la garanzia dei diritti: cosa conta di più?

“Il Senato deve decidere: contano di più le voci di odio delle tante Gorino o i diritti di 800mila bambini e ragazzi figli dell’immigrazione che sono nati e/o cresciuti in Italia? Rinviare la discussione del disegno di legge sulla cittadinanza significa dare priorità alle prime”: così Paula Vivanco per conto dei Cittadini senza cittadinanza si è rivolta oggi al Presidente del Senato Pietro Grasso.

Questa mattina una delegazione della campagna L’Italia sono anch’io e del movimento Italiani senza cittadinanza è stata infatti ricevuta dal Presidente del Senato Pietro Grasso. E Paula ha infinitamente ragione: non solo chi inonda di odio razzista il dibattito pubblico e istituzionale, ma anche chi lo asseconda trasformandolo in una bussola della propria strategia politica ha responsabilità molto grandi: contribuisce, consapevolmente o meno, a declassare, frantumare, macellare i diritti di cittadinanza. Non solo quelli dei cittadini stranieri, anche e sempre più quelli di tutti.

E’ senz’altro significativo che il Presidente del Senato si sia espresso ancora una volta a favore di una rapida calendarizzazione della discussione del disegno di legge di riforma sulla cittadinanza, già approvato in aula alla Camera ormai più di un anno fa. Desta invece preoccupazione che sia il Presidente che la relatrice in Commissione Affari Costituzionali Lo Moro confermino di considerare ineluttabile il rinvio della calendarizzazione a dopo il 4 dicembre.

A seguito della manifestazione promossa in varie città italiane dai ragazzi senza cittadinanza e, soprattutto, della grande visibilità che ha incontrato sui media, si sono susseguite decine di dichiarazioni a favore della rapida approvazione della riforma. Tutti sembrerebbero volerla: oltre al Presidente Grasso, il Presidente del Consiglio, che ne ha fatto uno dei principali dei suoi principali slogan (all’inizio del suo mandato), la Presidente della Commissione Finocchiaro, la stessa relatrice Lo Moro.

Ma, c’è un ma. “Non è questo il momento opportuno” perché la legge dividerebbe la maggioranza e, in vista del referendum (questo sì “divisivo”) del 4 dicembre, potrebbe essere oggetto di strumentalizzazione da parte della Lega Nord che ha presentato, lo ricordiamo, 7mila emendamenti al testo.

Abbiamo già spiegato qui perché il rinvio sia ormai assolutamente incomprensibile.

Ora possiamo solo aggiungere due considerazioni.

Primo: “subito dopo il 4 dicembre” il Senato si troverà impegnato nella discussione della legge di Bilancio (che quest’anno sembra avere un percorso particolarmente avventuroso), poi ci sarà Natale, poi ci sarà l’esigenza di intervenire sulla legge elettorale sia che vinca il Sì sia che vinca il No al referendum. La probabilità che il momento opportuno non arrivi prima della fine della legislatura è molto alta.

Secondo: se cade la legislatura cade anche il disegno di legge e, sic et stantibus, è molto probabile che il futuro Parlamento abbia una composizione ancora meno favorevole all’approvazione della riforma. Ad esempio se il Movimento 5 stelle ampliasse il proprio consenso elettorale, la legge si allontanerebbe sempre più. Sulla proposta attuale il M5S si è astenuto alla Camera e ha già annunciato di astenersi al Senato (e qui l’astensione vale un no).

E’ per queste ragioni che, insieme alle altre organizzazioni della campagna L’Italia sono anch’io, Lunaria ha ritenuto giusto fare pressione per una calendarizzazione e un’approvazione della legge prima del referendum. Si potrebbe portare subito in aula così com’è e votarla.

Andare oltre il 4 dicembre significa rischiare di affossare definitivamente la legge.

Nel caso questo avvenisse, circa 800mila bambini e ragazzi che sono nati e/o cresciuti nel nostro paese sarebbero destinati a rimanere fantasmi. E la responsabilità, è bene dirla tutta, ha un nome e un cognome, sarebbe in primo luogo dell’attuale partito di maggioranza.

L’odio o la garanzia dei diritti: cosa conta di più?

“Gli stranieri interessati al rilascio e al rinnovo del permesso di soggiorno non dovranno assolvere al pagamento degli importi previsti dall’articolo 5

La Direzione Immigrazione del Dipartimento di Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno ha inviato una circolare a tutte le Questure: “Gli stranieri interessati al rilascio e al rinnovo del permesso di soggiorno non dovranno assolvere al pagamento degli importi previsti dall’articolo 5, comma 2 ter, del Testo Unico sull’Immigrazione, fermo restando l’obbligo del versamento relativo al costo del permesso di soggiorno elettronico. Tutte le istanze, comprese quelle giacenti in istruttoria o in attesa di consegna del titolo, dovranno essere portate a compimento prive del citato contributo”. Il Governo ha dunque immediatamente recepito la pronuncia del Consiglio di Stato, pubblicata ieri, che mette finalmente un punto alla questione relativa alla somma da corrispondere per ricevere il permesso di soggiorno. Non si dovranno più pagare né i 200 euro necessari finora per il rilascio del permesso di soggiorno europeo per lungosoggiornanti, né gli 80 o 100 euro per avere gli altri tipi di permesso.

Lo scorso maggio il Tar del Lazio, interpellato da Cgil e dal patronato Inca, aveva già giudicato come illegittimo – in quanto sproporzionato e non in linea con le norme europee – il contributo da versare: un pronunciamento non rispettato dal Governo, che a settembre aveva presentato un ricorso formale (avevamo raccontato l’intero percorso giuridico qui). In attesa del pronunciamento, il contributo era però stato mantenuto. Ora, con la sentenza pubblicata ieri, il Consiglio ha confermato la decisione del Tar, respingendo il ricorso del Governo: il contributo sul permesso di soggiorno è “illegittimo, sproporzionato e d’ostacolo ai diritti degli immigrati, dunque non in linea con la normativa europea”: lo stesso pronunciamento espresso un anno fa dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

Non stiamo parlando di gratuità: viene mantenuto il versamento di 30,46 euro per la stampa, 30 euro per il servizio offerto da Poste Italiane, e 16 euro per la carta da bollo:  76,46 euro in tutto. Ai quali però non dovrà più essere aggiunta la tassa extra finora prevista.

“Abbiamo vinto di nuovo: il Consiglio di Stato ha rigettato il ricorso del Governo contro la sentenza del TAR del Lazio che, dandoci ragione, ha disapplicato la norma che istituiva l’ulteriore contributo sui permessi di soggiorno”: così la nota in cui Cgil nazionale e Inca Cgil (che per sollecitare il pronunciamento del Consiglio di Stato avevano lanciato un appello pochi giorni fa), esprimono “grande soddisfazione [..]: la Pubblica Amministrazione dovrà adeguarsi alla sentenza e l’ulteriore contributo non si pagherà più”. Non solo: “il Consiglio “suggerisce alle Amministrazioni, secondo loro discrezione e compatibilmente con le normative esistenti, di trovare modo di rimborsare agli interessati le somme versate in eccedenza rispetto al dovuto”.

Nessuna tassa sul permesso di soggiorno, il Consiglio di Stato respinge il ricorso del Governo

Prima le donne e i bambini…anzi no. Le barricate del rifiuto di Gorino

Le otto donne e i dodici bambini che erano diretti a Gorino hanno cambiato destinazione. Non per loro autonoma scelta: la decisione è stata presa dal Prefetto di Ferrara Michele Tortora, dopo la protesta di un gruppo di residenti nel piccolo paese del ferrarese. “L’ipotesi di ospitare dei profughi a Gorino non è più in agenda. Ha prevalso la tranquillità dell’ordine pubblico, non potevamo certo manganellare le persone”, ha dichiarato il Prefetto.

Gorino è una frazione di Goro, paese di quasi 4000 abitanti in provincia di Ferrara, nell’area del Delta del Po. Proprio in questa frazione, un’ordinanza prefettizia ha individuato una struttura ricettiva – l’ostello bar dall’evocativo nome ‘Amore e Natura’ – potenzialmente utile per accogliere alcuni cittadini di origine straniera: nello specifico, 8 donne e 12 bambini. L’arrivo delle persone era stato annunciato da tempo, ma la notifica della decisione prefettizia sarebbe arrivata solo nel pomeriggio di ieri, lunedì 24 ottobre. Una presenza, quella delle otto donne e dei dodici bambini in arrivo, evidentemente ingombrante per i 600 residenti: un gruppo di loro, circa 300 persone, ha dapprima bloccato il percorso che avrebbe dovuto seguire il pullman della Prefettura per arrivare in paese, e poi organizzato vere e proprie barricate, chiudendo la strada di accesso e arrivando a impedire alle persone di andare al lavoro. Durante la manifestazione, nessun pescatore – il paese vive soprattutto della pesca delle vongole – sarebbe uscito in mare, e nemmeno i bambini sarebbero andati a scuola.

Dopo la protesta e la successiva decisione del prefetto, le donne e i bambini sono stati trasferiti nei paesi di Comacchio, Fiscaglia e Ferrara. “Il mio primo pensiero va a quelle donne, non oso pensare cos’hanno provato, attraversando il Mediterraneo, andando in pullman fino a Bologna e poi a Gorino e trovandosi infine davanti a quelle barricate”, ha dichiarato il prefetto, spiegando che la requisizione dell’ostello Natura e Amore è arrivata a seguito del rifiuto delle diverse strutture ricettive interpellate: “Ci sono stati alberghi cui ci siamo rivolti che hanno detto di non aver posto. Già – ha chiosato sarcasticamente Tortora – ci sono orde di turisti che si riversano a novembre in Riviera”. Da qui, e dal fatto che “al momento Goro non ospita alcun profugo, rispetto ai circa 800 già presenti nella provincia di Ferrara”, la decisione dal “carattere eccezionale e straordinario” di requisire l’ostello, ritenendo che “non fosse particolarmente frequentato d’inverno”. “Non mi aspettavo una reazione del genere e l’ho trovata sconcertante”, ha commentato Tortora.
Molto più duro il Prefetto Mario Morcone, Capo del Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione presso il Ministero dell’Interno: “Gli italiani che rifiutano l’aiuto doveroso a donne e bambini sono ottusi, mi vergogno di averli come connazionali. Se non vogliono vivere nello stesso posto dove diamo accoglienza ai profughi andassero a vivere in Ungheria. Noi staremo meglio senza di loro”.

Polemiche politiche e strumentalizzazioni
Diverse le reazioni politiche. Mentre il ministro dell’Interno Alfano parla di un episodio “che non fa onore al nostro Paese”, affermando che “quello che è accaduto non è lo specchio dell’Italia”, la Lega Nord plaude ai cittadini di Gorino, definendoli “i nuovi eroi della Resistenza contro la dittatura dell’accoglienza”, nelle parole di Alan Fabbri, segretario della Lega Nord del capoluogo estense.

I residenti
“Nessuno ci ha detto niente. Con un preavviso di un’ora vogliono requisire l’unico luogo di ritrovo del paese. Hanno detto che sono venti donne: ma non si sa chi sono. Abbiamo tre strade in tutto, cosa devono fare a Gorino, come passano il tempo? A fare delinquenza e basta?”. Così una signora intervistata da La Repubblica mentre prende parte alle barricate che hanno impedito l’accesso delle donne e dei loro bambini. “Non è una questione di razzismo. Se ci avvisavano per tempo, magari… Inoltre, quello è l’unico ostello, e l’unico luogo di ritrovo del paese”. “Noi qua siamo tutte donne, spesso sole, perché i nostri mariti pescano. – fa eco un’altra signora – Queste donne che arrivano, avranno anche dei compagni. E’ anche questo che ci fa paura”. “Questo non è un paese ricettivo, che da sostegno alle persone. Io non ho lavoro: perché a me nessuno chiede stai bene, hai bisogno? Loro si, noi  no. Sono esseri umani, per carità, però.. un conto l’accoglienza, un conto l’invasione”, afferma un uomo.

Sono solo alcune delle voci che arrivano da Gorino. Voci che fanno emergere aspetti diversi legati al fenomeno migratorio che da tempo sta coinvolgendo il nostro paese.
Da una parte c’è la gestione prefettizia, ed emergenziale, dell’accoglienza: una conduzione che, come detto più volte, non collima con le necessità dei territori. Servirebbe una gestione concordata con le amministrazioni locali e le organizzazioni della società civile, in modo da dare vita a virtuosi percorsi di inclusione: un lavoro di mediazione e programmazione che presuppone l’abbandono dell’approccio emergenziale. Ma se le amministrazioni locali, sulla base di una più o (molto spesso) meno spontanea pressione dei cittadini, continuano a rifiutarsi di partecipare alla programmazione dei servizi di accoglienza e di aderire allo Sprar, il circolo vizioso dell’accoglienza è destinato a riprodursi all’infinito.
Dall’altra parte, le voci dei residenti ci parlano di una radicalizzazione della xenofobia che coinvolge molta parte del nostro paese, nonostante il ministro Alfano affermi il contrario. Le barricate contro donne e bambini, per giunta così pochi numericamente parlando, sono un fatto grave, ma non isolato a Gorino.

Le proteste, le rivolte di quartiere, le sassaiole e anche gli attacchi incendiari in occasione dell’apertura di centri di accoglienza sono state diverse nelle grandi città come nei piccoli paesi di provincia. Basta solo ricordare tra i fatti più recenti quelli di Tor Sapienza, di Marino e di San Nicola a Roma, le proteste agostane di Capalbio, la raccolta di firme di Settimo Vittone nel torinese. Poi ci sono le violenze fisiche contro i richiedenti asilo, di cui il tremendo omicidio di Fermo del 4 luglio costituisce solo l’esempio più grave.

E’ inutile che i residenti, in questo caso di Gorino, si affrettino a dire che il razzismo non c’entra: è invece proprio questo a parlare. Lo si ascolta nelle urla “Non frega un c… che è incinta, portatela a casa del prefetto” (video qua), con cui un manifestante risponde al carabiniere che prova a spiegare la situazione. Lo si sente nelle grida di giubilo che coprono il “non è una questione di razzismo” con cui un manifestante fa seguire l’esultanza di un “abbiamo vinto noi”. Noi e Loro. Ancora una volta.

I migranti: cittadini fantasmi?

Come in altri casi anche nella squallida vicenda di Gorino e nelle sue rappresentazioni mediatiche c’è un’assenza ingombrante: quella delle donne migranti. Portate da Bologna a Gorino, con i pullman prefettizi, si sono trovate davanti urla e barricate, e quindi sono state trasferite e smistate, come pacchi, altrove. Non hanno avuto voce né la possibilità di spiegare cosa le ha spinte a provare a vivere in un paese diverso dal proprio. Provengono da Nigeria, Nuova Guinea e Costa d’Avorio: paesi che non si distinguono per la garanzia dei diritti umani (per un approfondimento, si veda qui). Cosa avranno pensato queste donne quando da Bologna sono state portate a Gorino, paese che probabilmente non avevano mai sentito nominare prima? Cosa si saranno dette quando, di fronte alle barricate dei residenti, sono state portate in Questura, ad attendere che qualcun altro decidesse per loro? Avranno avuto paura o no degli uomini e delle donne che non hanno voluto né loro, né i loro bambini?

Serena Chiodo

http://www.cronachediordinariorazzismo.org/gorino-barricate-profughi/

Apologia del fascismo, la legge Scelba non basta

STORIE DIMENTICATE

La normativa, datata 1952, impedisce di punire sia chi vende gadget ispirati al Ventennio o al nazismo, sia chi inneggia al fascismo sui social network. Mentre ben due proposte di legge contro souvenir, cimeli e saluto romano giacciono in Parlamento
di Gloria Riva

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Un mese di “evasione”

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Da ormai un mese ho lasciato la mia casa, i miei animali, le piante che crescono selvagge sui miei balconi, i grandi cedri pieni di nidi. Da un mese non rivedo la stanzetta quieta che custodisce libri e ricordi di settant’anni.
Da un mese me ne sono andata, in opposizione all’arbitrio degli arresti domiciliari “cautelari” che avrebbero voluto trasformare i luoghi e gli affetti della mia vita in carcere e fare di me l’obbediente, collaborante carceriera di me stessa.
Me ne sono andata perché amo e difendo la quotidianità dell’esistere, lo sfaccendare sereno nelle mie stanze, le creature che mi sono dolci compagne, le conversazioni quiete con gli amici.
Ora vivo altrove, non mi nascondo, ho pronte le mie cose per ogni ulteriore evenienza; le donne, gli uomini, i bambini del movimento sono con me ad allietare ed a proteggere le mie giornate.
E’ proprio questa socialità buona e fraterna a mettere in difficoltà un potere tanto arrogante quanto vile, il quale controlla quotidianamente la mia casa, si imbatte continuamente nei luoghi e nei momenti della mia evasione, ma non ha il coraggio di fermarmi, di affrontare la forza di un popolo che difende, con testarda mitezza e dissacrante ironia, il diritto ad un futuro più giusto e più vivibile per tutti.
Da oggi ho deciso di riconquistarmi la piena agibilità: anche se a casa non torno (lo farò quando quest’avventura sarà pienamente finita), riprendo in totale libertà la partecipazione ai viaggi per raccontare la lotta NO TAV ormai trentennale ed approfondirne i legami; tante realtà ci attendono per conoscere, esprimere solidarietà, organizzare una resistenza che non può più attendere.
E voglio tornare in Clarea, percorrere il sentiero tra i boschi autunnali, respirare emozioni e ricordi, riprovare la indignazione dell’arrivo al cantiere, la rabbia lucidissima che si fa lotta, volontà di liberazione, progetto di un futuro in cui ogni essere vivente possa davvero dare secondo le proprie possibilità e ricevere secondo i propri bisogni.

Nicoletta Dosio

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Ferrara, razzisti sul delta. Barricate contro 12 donne e 8 bambini

Succede a Gorino, sul delta del Po, in provincia di Ferrara. Gli abitanti si ribellano all’arrivo di 12 donne in fuga dalla fame e dalla guerra e 8 bambini. La Lega: «Questa gente ha le palle». Sì, ce l’ha in testa

Razzisti sul delta. Non è la Louisiana del Ku Klux Klan, è l’Emilia della Lega. Razzista e non meno feroce, anche con quell’accento strano, incapaci di pronunciare la zeta, che parlano come se pronunciassero codici fiscali, proprio loro, allergici – si dice – alle tasse quando facevano soldi con le vongole sull’ultimo pezzo di terra lungo il Po prima del mare, in quell’ultimo gruppo di case dove un prefetto maldestro ha confiscato temporaneamente sei stanze per dodici donne e otto bambini in fuga da guerra, fame e carestie proprio sopra al bar dove vanno a bere lo spritz questi uomini veri, forti coi deboli e deboli coi forti. Come i razzisti, come i leghisti, come i fascisti, barbuti o ariani, come gli stronzi maschi a qualsiasi latitudine. Amore e Natura si chiama l’ostello, un ossimoro che puzza di acqua paludosa, del fumo attorno alle barricate di questa notte, della volgarità dei luoghi comuni con cui si nutrono a queste latitudini scambiandola per senso di comunità. Qui i migranti sono tollerati solo quando devono lavorare nelle cooperative di pesca per due lire.

«L’ipotesi di ospitare dei profughi a Gorino non è più in agenda. Ha prevalso la tranquillità dell’ordine pubblico, non potevamo certo manganellare le persone. Questo fenomeno o si gestisce insieme con buonsenso oppure non si gestisce», fa sapere il prefetto. Fossero stati lavoratori, studenti, precari la polizia li avrebbe asfaltati, e la magistratura perseguitati come in Val Susa, Roma, Napoli. Ma sono razzisti, persone normali, come chi li fronteggia in divisa o dalla scrivania della prefettura, come chi li fiancheggia nelle ronde in bicicletta che si susseguono in una città, Ferrara, dove non succede mai niente se non speculazioni e scandali targati Pd, ma sembra vivere da vent’anni anni in un assedio perenne. E in provincia va peggio. Lì se la comanda un leghista, Alan Fabbri, che, da sindaco non è stato capace di evitare che il suo paese diventasse il più povero della provincia, e ora fa l’opposizione al Pd in Regione.

Tronfio si vanta sui social il responsabile sicurezza della Lega, un pregiudicato, secondo il sindaco di Ferrara (siamo pronti a smentire), che ora veglia sulla sicurezza dei suoi concittadini. Scrive un quotidiano locale:

Nicola Lodi, detto Naomo per via di una pubblicità della quale fu protagonista l’attorcomico Giorgio Panariello, ci fa dormire sonni tranquilli. Compie ardite spedizioni nel Palaspecchi la cui prospettiva di riconversione s’è fatta fragile dopo l’arresto dell’imprenditore padovano Vittadello. Lodi compie missioni al Palaspecchi neanche fosse Jena Plissken in “1997, Fuga da New York”, come se il problema del Palaspecchi fossero le miserie e il degrado che lo occupano. Lodi scopre dormitori abusivi nei parcheggi, guida tour nei campi nomadi, smaschera chi succhia l’energia elettrica a tradimento. Manca soltanto che sgomini il racket dei mendicanti, quello degli spacciatori e disintegri l’organizzazione dei parcheggiatori abusivi. Per rusparli via.

Ora non vede l’ora che arrivi in paese la troupe di Del Debbio ma scalpita e in un video diffuso sui social «consiglia» al prefetto di lasciar perdere ché i 500 abitanti di Gorino sarebbero pronti a tutto perché parlano una lingua diversa da quella istituzionale, perché si alzano alle quattro di notte per andare a lavorare. «Domani non voglio sentire accuse di razzismo, siamo realisti, qua non deve venirne alcuno. La gente di Gorino ha le palle». Probabilmente in testa. Come dice una vecchia canzone di Fausto Amodei. Ma Naomo, si convinca, è razzista, come i neofascisti che terrorizzano da mesi i gestori di un albergo in Val Trompia che ospita una ventina di profughi. Come i normali cittadini di Tiburtino III che gridavano “scimmia torna in Africa” ai minori ospitati in un centro del loro quartiere. E’ l’Italia, bellezza. Come tutti quelli che dicono «Io non sono razzista ma…». E anche a Ferrara sono tanti. Le donne profughe, si è appreso in mattinata, sono 12, compresa la donna incinta, che è stata accolta in un centro a Ferrara. Ora sono state trasferite e divise tra Fiscaglia (quattro), Ferrara (quattro) e Comacchio (quattro). Si tratta di cittadine provenienti da Nigeria, Nuova Guinea e Costa d’Avorio, in fuga dalla guerra.  La ragazza incinta ha le doglie. Che suo figlio possa nascere in un mondo libero dal razzismo e dalla guerra.

Ma Ferrara è anche la città che, alla fine di settembre, ha visto duemila persone in piazza contro il razzismo. Gli antidoti ci sono ma il razzismo più pericoloso è quello di chi non capisce che la crisi è un’arma dei padroni puntata su tutti, che si volta dall’altra parte e apparentemente non si schiera ma spera che il lavoro sporco lo facciano i Lodi. Mentre il vescovo di Ferrara, epurato perfino da Cl, predica contro l’accoglienza in nome degli italiani poveri. Di tutt’altra pasta, un altro prete, Luigi Zappolini del Cnca: «È il segno che, in una parte consistente della popolazione, il rifiuto dell’altro, tanto più se debole, è ormai un riflesso condizionato, che prescinde da ogni considerazione razionale oltre che etica. Non v’è debbio che, per arrivare a questo punto, abbiano giocato un ruolo essenziale forze politiche e organi di stampa che hanno puntato massicciamente sulle paure e i risentimenti delle persone. Mi domando come si fa a rifiutare mamme e figli e poi chiedere allo stato, giustamente, un aiuto per le famiglie e i minori, per i quali non esistono tuttora politiche e stanziamenti adeguati. Come prete, mi auguro davvero che – tra coloro che hanno manifestato a Gorino e Goro – non vi siano cristiani: avrebbero smarrito del tutto il senso più profondo del Vangelo».

Ci vorrebbe che gli ultimi e i penultimi capissero chi è che li impoverisce, che sia la solidarietà e non la paura, il rancore o l’odio, a tenerci insieme. Sarebbe una rivoluzione, non una Crociata.

La decisione di abbandonare l’ipotesi di accogliere i profughi a Gorino è una sconfitta dello Stato? «Certo non è una vittoria», ha risposto Michele Tortora, prefetto di Ferrara, rispondendo ai giornalisti nella conferenza stampa convocata in prefettura dopo le barricate antiprofughi. «La gestione di questi problemi – ha detto il prefetto – va affrontata con buon senso e spirito di collaborazione da parte di tutti. Per questo rinnovo l’appello a istituzioni, enti locali, persone e associazioni ad aiutarci». Di fronte a chi gli chiedeva se la decisione di cedere alla protesta sia stata condivisa con il Viminale il prefetto ha risposto: «chiedetelo al Viminale».

Giulio AF Buratti da Popoff

Imperia: “Siamo tutti pericolosi”, lettera aperta al Questore

Un’insegnante di Imperia ha deciso di inviare, una lettera aperta al Questore di Imperia, Leopoldo Laricchia, in merito ai tre avvisi di pericolosità sociale notificati negli ultimi mesi a tre attivisti, Francesco Scopelliti, Noto Florio e Valerio Romano.

Al signor questore di Imperia

Gentile signor Questore,

sono un’insegnante di filosofia e storia di Imperia e scrivo questa lettera per auto-denunciarmi.

Tutte le mattine, infatti, cerco di stimolare nei miei allievi, fra le altre cose, spirito critico e capacità di ragionamento; cerco di far loro capire che una società, se non vuole morire, deve aprirsi al dialogo e al diverso senza temere, per questo, di perdere la propria identità. Spiego che il motore di ogni buon procedimento dialettico è l’antitesi, perché nulla, se accettato pedissequamente e senzacontroparte, può aiutare a crescere, ad andare avanti, a progredire.

Mi sono più volte sentita ripetere – a voce alta, di fronte ad almeno venticinque ragazzi! – che ‘non sempre giustizia e legalità coincidono’ e che quando, dopo un’attenta e ponderata analisi, riteniamo moralmente ingiusto un modo di procedere o una legge, non solo possiamo, ma dobbiamo dissentire. Civilmente – s’intende- , ma dissentire. Perché è questo che fa un buon cittadino: mette in evidenza le contraddizioni della società in cui vive partecipando attivamente al dibattito politico e sociale, arrivando anche a scontrarsi, se necessario, con gli organi e le istituzioni preposte al mantenimento dello stato di cose e delle dinamiche che si intendono osteggiare.

Si figuri che ho anche avuto la sfrontatezza di leggere in classe intere parti della ‘Disobbedienza civile’ di Henry David Thoreau ottenendo, devo ammetterlo, dimostrazioni di interesse rare fra i banchi di scuola.
Credevo di far bene il mio lavoro, almeno fino a che non ho letto degli avvisi di pericolosità sociale che negli ultimi mesi sono stati elargiti a piene mani nei confronti di alcuni attivisti della nostra città e soprattutto delle motivazioni per le quali sono stati tacciati di ìcondotta anti-socialeì.

Vede, signor Questore, io pensavo che mobilitarsi per i diritti degli immigrati ( riconoscendo, fra le altre cose che l’immigrazione non è un problema, ma un’emergenza umanitaria con cui dobbiamo confrontarci), riqualificare aree urbane in disuso per strapparle al degrado e protestare contro chi fa del razzismo e del pregiudizio la propria bandiera, fosse una condotta tutt’altro che anti-sociale.
Socialissima , l’avrei definita se fossi stata davanti ai miei studenti. E lodevole, dal mio punto di vista.

Ecco quindi il problema, signor Questore : lo penso ancora, se proprio devo essere sincera. Per questo, come le dicevo, forse sono socialmente pericolosa anche io”.

da ImperiaPost

Ci riguarda tutte

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Novembre 2015: al convegno organizzato presso la Casa Internazionale delle Donne di Roma dall’associazione Ilaria Rambaldi Onlus di Lanciano, viene invitato a parlare il noto avvocato di un efferato stupratore. Si attiva la rete di solidarietà femminista per ricordare che la casa delle donne non è un luogo neutro e che maschi del genere non devono entrarvi. Due donne vengono querelate per aver diffuso una lettera in cui si denunciava la condotta provocatoria del penalista, tutta tesa a screditare la parte lesa, il pesante clima di ostilità nei confronti della solidarietà femminista, la responsabilità di uno Stato che, con misure emergenziali e non preventive del sisma che ha colpito L’Aquila nel 2009 e la militarizzazione del territorio, si è reso complice della strage dell’Aquila prima e dello stupro poi.

Novembre 2016: Lo stupro, il processo per stupro, la nostra criminalizzazione sono avvenuti a L’Aquila ed è per questo che vogliamo esserci in tante il 18 novembre con un presidio davanti al tribunale per ripetere che “se toccano una, toccano tutte!”

Dall’Aquila alla Sal susa lo Stato arresta e stupra. Le donne che denunciano, lottano e si ribellano all’oppressione di questo marcio sistema capitalistico e patriarcale, vengono represse, isolate, perseguitate.
Il MFPR a L’Aquila fin dall’inizio ha portato avanti questa battaglia al fianco di Rosa, contro lo stupratore Tuccia e poi contro il suo avvocato. E’ questo che ora lo Stato borghese vuol far pagare. MA SI ILLUDE! SARA’ UNA PIETRA CHE GLI RICADRA’ ANCORA PIU’ FORTE SUI PIEDI!
Il MFPR aderisce e fa sua la campagna per la libertà di Nicoletta Dosio. La battaglia NO Tav ha messo più di una volta in luce che lo Stato si accanisce sulle donne, perchè evidentemente vede in loro una determinatezza, un coraggio, una forza che gli fa paura, e sono d’esempio a tante donne. Siamo con Nicoletta Dosio anche nella sfida con cui occorre rispondere a questo Stato: noi non abbiamo nulla da cui difenderci, ma abbiamo da attaccare sempre di più, non accettiamo l’ingiusta repressione di questo Stato borghese – con questo dimostriamo l’abisso che esiste tra la grandezza delle donne che lottano per la libertà, per i diritti delle popolazioni e la miseria, il fascismo di questo Stato, questo governo
Il MFPR PORTERA’ QUESTE BATTAGLIE NELLA MANIFESTAZIONE DELLE LAVORATRICI DEL 25 NOVEMBRE A ROMA.

Che tutte esprimano la loro solidarietà e siano al fianco delle 2 donne incriminate, che la battaglia di Nicoletta sia un esempio per tutte noi. Perché CI RIGUARDA TUTTE la violenza degli uomini che odiano le donne, degli Stati che odiano le donne, dei governi che odiano le donne. E le donne proletarie sono le masse, per questo devono smettere di avere paura e devono cominciare davvero a fare paura.

Giù le mani da Nicoletta, da Cristina, da Luigia, giù le mani dalla rete di solidarietà delle donne!

FACCIAMO UNA COMBATTIVA MANIFESTAZIONE IL 25 NOVEMBRE!

Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario

Per aderire alla campagna “CI RIGUARDA TUTTE” e firmare la lettera incriminata: https://ciriguardatutte.noblogs.org/

Qui per scaricare il comunicato per il 18

Qui la locandina ad alta risoluzione

Qui la trasmissione a Radio Ondarossa

http://femminismorivoluzionario.blogspot.it/2016/10/ci-riguarda-tutte.html

I limiti della legge contro il “caporalato”

Intervista ad Antonello Mangano di Terrelibere.org

Il 19 ottobre, a larga maggioranza, la Camera dei Deputati ha finalmente dato il via libera definitivo al disegno di legge (Ddl Martina-Orlando) sul caporalato e lo sfruttamento del lavoro in agricoltura, una piaga che, come documentato dai vari reportage di Meltingpot, colpisce, nel solo Mezzogiorno d’Italia, tra le 300 e le 500 mila persone.
La nuova legge, da alcuni vista come la panacea di tutti i mali da altri invece criticata su più punti, modifica un articolo già esistente, il 603bis del Codice penale, e apporta una serie di novità interessanti anche se sembra più figlia di una cultura emergenziale, leitmotiv italiano, piuttosto che di una strategia ragionata e consapevole.
Secondo Antonello Mangano di Terrelibere.org [1]La legge in questione introduce la corresponsabilità tra caporali e aziende, notizia positiva, limitando però il tutto ad un’azione puramente repressiva in un fenomeno, quello dello sfruttamento, che si sta sempre più amplificando”. Di fatto, il caporale e il datore di lavoro rischiano “sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno” da uno a sei anni di reclusione e una multa che può arrivare fino a 1000 euro; in caso di violenze o minacce (all’ordine del giorno nei periodi di raccolta) la reclusione può arrivare fino ad otto anni.
Sempre secondo Mangano “Più che una legge contro il caporalato, servirebbe un lavoro dal basso per far sì che la Grande Distribuzione Organizzata applichi una filiera trasparente in modo che il consumatore sappia, ancor prima di comperare il prodotto, il prezzo alla fonte e quanti lavoratori hanno contribuito a portare quel determinato alimento sopra le nostre tavole”.
La legge introduce anche “l’indice di sfruttamento” in pratica una serie di elementi che possono segnalare il reato stesso: retribuzione troppo bassa, violazione di orari di lavoro, ferie e norme di sicurezza e, infine, condizioni alloggiative degradanti (sic!). Sullo sfondo, infatti, resistono oramai da decenni una serie interminabile di ghetti, le Jungle del Sud Italia, che confinano i braccianti, per lo più di origine africana, in bidonville invisibili dove le condizioni igienico sanitarie, nella migliore delle ipotesi, sono pessime.
Il problema di fondo” continua Mangano “è che si continua a colpire i “cattivi”, i caporali, dimenticandosi che questi ultimi sono solo uno degli anelli della catena, e neppure il più importante, visto che la piaga dello sfruttamento si alimenta anche senza il fenomeno del caporalato ”.
L’attenzione mediatica sul problema gira intorno ad una soluzione repressiva, e la legge è lo specchio della società, paragonando così il caporale allo scafista che porta i migranti verso le coste siciliane “dimenticando” che questi ultimi hanno percorso migliaia di chilometri, in condizioni disumane e pagando cifre enormi, prima di vedere il mare.
Una volta arrestato, il fenomeno del caporalato verrebbe sostituito da agenzie interinali legali solo sulla carta e la ruota ricomincerebbe a girare.
L’assenza di una visione globale delle condizioni di sfruttamento lavorativo e una mancata presa di posizione intorno alla questione della Grande Distribuzione, ad esempio obbligando le grandi catene ad applicare l’etichetta narrante, rende la legge “zoppa” e di difficile applicazione in un quadro repressivo che, alla lunga, risulterà inefficace e deleterio.

#overthefortress in Grecia – Il ritorno a Salonicco

Ci lasciamo alle spalle Idomeni e andiamo verso Salonicco. Nei campi governativi troviamo i nostri amici nelle stesse tende. I pasti sono ancora quelli del servizio catering gestito dall’esercito.

La situazione è cambiata, per alcuni in meglio, per altri in peggio.
Il campo di Softex è il peggiore, 1.500 persone costrette a vivere nella zona industriale di una grande città, ospitati in una ex-industria della carta dove venivano utilizzati prodotti chimici.

La polizia e l’esercito non fanno nulla per eliminare la criminalità presente nel campo e le famiglie sono terrorizzate dall’idea di lasciare i propri figli da soli. Qualcuno racconta di spaccio di droga, qualcun’altro di risse e giochi di coltelli. La situazione igienico-sanitaria non è migliorata, nonostante il tempo i servizi igienici sono gli stessi e la Croce Rossa Internazionale non sembra garantire un accurato servizio che vada oltre la semplice distribuzione di paracetamolo.

La confusione, ci comunicano i racconti dei nostri amici, è peggiorata nel mese di ottobre, da quando sono iniziati gli appuntamenti per la seconda parte della richiesta di protezione internazionale.

Alcuni riferiscono che dopo 10 giorni dall’intervista vengono portati a vivere in alberghi, altri ritornano semplicemente nella propria tenda. C’è confusione tra il relocation program e la family reunification, come nel caso della famiglia di Marahm.

Suo padre è arrivato in Germania mesi fa e lei si trovava in Grecia con sua madre e 2 sorelle sperando nel ricongiungimento familiare.

Quando finalmente hanno potuto preparare i bagagli per partire, lei, l’unica figlia maggiorenne (19 anni) è dovuta restare in Grecia perché considerata adulta. Adesso Marahm vive da sola a Softex.

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Photo credit: Stefano Danieli

#overthefortress in Greece – Coming back to Thessaloniki

We leave behind Idomeni and go towards Thessaloniki. In the camps run by the government, we find our friends in the same tents. The meals are still those of the catering provided by the army. The situation is changed, in some cases for the better, in other for the worse.

Softex’s camp is the worst, 1500 people forced to live in the industrial area of a big city, accomodated in a former paper factory where were used chemicals.
Police and the army do nothing to eliminate crime present in the camp and families are terrified of leaving their kids alone. Someone talks about drug dealing, others about fights and knife games. Health and sanitation situation isn’t improved, despite the time toilet facilities are still the same and the International Red Cross doesn’t seem to guarantee an accurate service that goes beyond the simple distribution of paracetamol.

The confusion described by our friends has worsened in the month of October, since the beginning of the appointments for the second part of the application for international protection.

Someone reports about being accompanied to live in hotels after 10 days from the interview, others simply come back to their tent. There’s confusion between relocation and family reunification, as in the case of Marahm’s family.

Her father arrived in Germany months ago and she was in Greece with her mother and 2 sisters hoping in family reunification.

When they finally were allowed to pack their things to leave, she, the only daughter of age (she’s 19), had to stay in Greece because considered an adult. Now Marahm lives alone in Softex.