Diario sulla Siria

Descrizione esaustiva della situazione in Siria, raccontata e ripresa da persone neutrali, che sono coraggiosamente andate nel paese per capire la situazione e riportarcela.
Include testimonianze di persone comuni che vivono il dramma quotidiano di questa guerra.

Guerra che vuole spaccare il paese e che, sempre piu’, si rivela orchestrata artificialmente dall’esterno.

G8 di Genova, vicequestore di polizia a processo per falsa testimonianza: “L’arresto degli spagnoli a Manin fu pasticcio in Questura”

E’ stato interrogato ieri mattina nell’ambito del processo a suo carico per falsa testimonianza Luca Cinti, vicequestore di polizia e dirigente del Reparto mobile di Bologna nei giorni del G8 del 2001.

Il 20 luglio, poco dopo le 15, il reparto mobile di Bologna, comandato da Cinti, caricò i manifestanti pacifici riuniti in piazza Manin e arrestò due ragazzi spagnoli accusandoli di resistenza. Gli agenti sostennero che i due fossero armati di spranga e molotov, ma un video scagionò i due manifestanti. I quattro poliziotti responsabili dell’arresto (Antonio Cecere, Luciano Berretti, Marco Neri e Simone Volpini), invece, sono stati condannati in via definitiva a 4 anni di reclusione e 5 anni di interdizione dai pubblici uffici per “falso e calunnia” e sono attualmente sospesi dal servizio.

Nell’ambito del processo di primo grado contro i quattro, Cinti (che era il loro superiore) testimoniò in aula di aver visto il momento dell’arresto aggiungendo che uno dei due arrestati aveva in mano una spranga. Di fronte alla visione del filmato, che mostrava invece i due spagnoli assolutamente disarmati e inermi di fronte all’arresto, Cinti disse anche che non era certo che si trattasse proprio dei due spagnoli arrestati.

E ieri mattina in aula, davanti al giudice monocratico Carla Pastorini, al pubblico ministero Francesco Cardona Albini e agli avvocati di parte civile Emanuele Tambuscio e Laura Tartarini, Cinti ha stupito tutti: “Non abbiamo arrestato i due spagnoli, probabilmente in Questura è stato fatto qualche pasticcio”.

In pratica Cinti ha sostenuto che i suoi uomini hanno arrestato due persone di cui una armata di spranga, ma che non si tratterebbe dei due spagnoli. Peccato però che i due giovani siano stati gli unici arrestati in piazza Manin in tutta la giornata del 20 luglio.

La tesi difensiva di Cinti sarebbe che gli spagnoli siano stati arrestati per sbaglio, mentre i veri responsabili dei disordini sarebbero rilasciati per errore dalla Questura. Tesi che ha lasciato parecchio perplesso il difensore di parte civile Emanuele Tambuscio: “E’ stato un interrogatorio piuttosto surreale – spiega il legale – anche perché i quattro poliziotti del Reparto mobile di Bologna, condannati in via definitiva per l’arresto illegale dei miei clienti, hanno firmato il verbale d’arresto dei due spagnoli e mai, durante i lunghi anni in cui è durato il processo a loro carico, hanno accennato a uno scambio di persona “.

Dopo l’interrogatorio di Cinti, le parti hanno deciso di rinunciare ai restanti testi. Il 22 febbraio ci sarà la discussione e, forse il giorno stesso, ci potrebbe essere la sentenza.

via G8 di Genova, vicequestore di polizia a processo per falsa testimonianza: “L’arresto degli spagnoli a Manin fu pasticcio in Questura” | Genova24.it.

Anche La Russa tiene famiglia

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Il cognato in affari con la ‘ndrangheta. Il fratello indagato. I fedelissimi sulle poltrone pubbliche. Ecco la rete di potere dietro al nuovo partito

In quella trattativa con la ‘ndrangheta, l’imprenditore del Nord sa che sta giocandosi tutto. Fondatore della Blue Call, una società di call-center che nel 2010 era arrivata ad avere 872 dipendenti, tra gennaio e settembre 2011 ha aperto le porte dell’azienda al clan Bellocco di Rosarno. Mafia ricchissima e sanguinaria. Che dopo avergli offerto protezione e prestiti facili tra Calabria e Svizzera, sta «dissanguando» le casse del gruppo a Milano. Dopo appena otto mesi, la ‘ndrangheta vuole costringerlo a svendere tutto. L’imprenditore è disperato. Non vuole o non può denunciare i mafiosi. Per salvare almeno un po’ di soldi, cerca un alleato importante. Un big del settore, un nome che possa fargli da scudo. Un santo protettore che lo stesso imprenditore in società con la ‘ndrangheta presenta così: «E’ il cognato di La Russa».

E’ il 20 settembre 2011 quando le direzioni antimafia di Milano e Reggio Calabria intercettano il titolare della Blue Call, Andrea Ruffino, ora in carcere, mentre descrive la sua spaventosa trattativa con la mafia ed elogia «l’intelligentissimo» aiuto fornitogli da Gaetano Raspagliesi, manager di call-center tra Milano e Paternò, evidenziando che si tratta del marito della sorella del ministro della Difesa. In quel momento Ignazio La Russa era ancora al governo. Oggi l’ex ministro sta lanciando un nuovo partito nella mischia elettorale, nella speranza di favorire un’altra vittoria dell’intramontabile Berlusconi e far sentire di più il suo peso nella destra (leggi).

La Russa è uno dei non molti capi-corrente del Pdl che possono vantare di aver frequentato i tribunali come avvocato penalista anziché come imputato, arrestato o condannato. Entrato in Parlamento nel ’92 inneggiando a Mani Pulite, nella cosiddetta Seconda Repubblica ha scaricato i magistrati e in questo ventennio ha saputo costruirsi una macchina di potere in grado di condizionare affari e politica. Le critiche più aspre riguardano i suoi rapporti con Salvatore Ligresti, l’ex re del mattone e delle assicurazioni, anche lui originario di Paternò, ora sotto accusa per bancarotte miliardarie. Sotto tiro sono anche le discusse società imprenditoriali del ministero della Difesa e i legami con Finmeccanica. Meno conosciuti sono i problemi della sua cerchia familiare. E della corrente milanese che è la sua base elettorale e ha conquistato poltrone chiave nelle società pubbliche ( leggi) che smistano appalti miliardari. Una corrente dove non sono mai mancati personaggi al confine tra reduci dell’eversione nera, ex picchiatori neofascisti, ultras del calcio violento, malavita notturna, discoteche inquisite per cocaina e perfino agganci con la mafia. Roba da far invidia alla Roma di Alemanno.

Alle ultime elezioni comunali a Milano fecero scandalo le intercettazioni di Marco Clemente, 34 anni, un duro dell’estrema destra romana, riciclato come assistente parlamentare del Pdl, diventato un fedelissimo di La Russa, fino a fregiarsi dello status di «consigliere diplomatico del ministro della Difesa». Nel 2011, quando 35 arresti colpiscono il clan Flachi per estorsioni sistematiche e traffici di cocaina nelle discoteche milanesi, le microspie svelano che in Lombardia i boss più importanti fanno votare da anni il Pdl. Peggio: un ex neofascista, Giuseppe Amato, arruolato come scagnozzo armato dalla ‘ndrangheta, si lamenta che il titolare di un locale osa non pagare il pizzo («Gli do fuoco alla macchina!») e al suo fianco, al Babylon Club, c’è proprio lui, il «consigliere ministeriale» Clemente. Che «ride» della vittima e commenta: «Speriamo che muoia come un cane». L’intercettazione è del 17 febbraio 2008, campagna elettorale del dopo-Prodi, ma smette di essere segreta tre anni dopo, quando Clemente è candidato con la lista Moratti: «Non mi riconosco in quelle parole», sostiene. Fatto sta che i milanesi non lo eleggono. E dopo la trombatura, dov’è finito, il larussiano Clemente? E’ entrato nello staff di Angelo Giammario, consigliere regionale (indagato) del Pdl, filmato alla vigilia delle elezioni del 2010 mentre incontrava i boss “reggenti” della ‘ndrangheta a Milano, Pino Neri e Cosimo Barranca (quelli del summit di mafia al circolo Falcone-Borsellino), che poi ordinavano agli affiliati di votarlo, naturalmente a sua insaputa.

Casa originale dell’articolo Anche La Russa tiene famiglia – l’Espresso.

Napoli 2001: impuniti gli agenti che pestarono i manifestanti

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Non saranno puniti i dieci agenti inquisiti per i pestaggi e le torture contro i manifestanti a Napoli durante il Global Forum del 2001. Le prove generali della macelleria messicana di pochi mesi dopo a Genova.

Sono prescritti i reati di ‘sequestro di persona’ contestati ai poliziotti per le violenze, i pestaggi e le vere e proprie torture inflitte a decine di manifestanti, durante il Global Forum che si svolse a Napoli il 17 marzo del 2001.
Lo ha deciso ieri sera la Corte d’Appello di Napoli in merito al processo sui pesanti abusi commessi dagli agenti all’interno della caserma della polizia Raniero dove furono condotti i molti manifestanti fermati nelle brutali cariche contro una grande manifestazione convocata dai sindacati di base e dai movimenti e centri sociali per contestare un vertice dell’OCSE. Un episodio gravissimo che, a posteriori, alcuni hanno giustamente definito “le prove generali” di ciò che sarebbe stata la ‘macelleria messicana’ di pochi mesi dopo, durante il G8 di Genova. Le cariche contro i manifestanti che volevano violare la ‘zona rossa’ furono violentissime, in particolare contro i giovani e i giovanissimi, rinchiusi in una vera e propria tonnara, senza vie di fuga, in Piazza Municipio.

Nel corso del procedimento a carico degli agenti inquisiti, in primo grado la quinta sezione aveva inflitto 10 condanne ad altrettanti poliziotti, tra i quali due funzionari, accusati di ‘sequestro di persona’, mentre la corte dichiarò già all’epoca prescritti i reati di violenza privata, lesioni, abuso d’ufficio e falso. Per la procura di Napoli, invece, gli 85 manifestanti che furono portati alla ‘Raniero’ furono picchiati e ‘tenuti segregati’.

Quando nel 2001 gli agenti della Squadra mobile si presentarono dai colleghi per notificare loro le ordinanze di custodia cautelare, i poliziotti presenti in questura attuarono una catena umana intorno all’edificio di via Medina, per impedire gli arresti, dimostrando già all’epoca un atteggiamento – contraddistinto dalla tolleranza e dalla copertura corporativa di colleghi accusati di violenza – che sembra essere diventato nel frattempo predominante all’interno degli apparati di sicurezza di questo paese. La rete No global presentò poco dopo i fatti un libro bianco con testimonianze di vario tipo sui pestaggi sia in piazza sia all’interno della caserma Raniero.

Mentre in occasione della brutale repressione e delle torture inflitte ai manifestanti nel luglio di quell’anno a Genova le maggiori – ma non esclusive – responsabilità politiche di quanto accadde vanno addebitate al governo di destra presieduto da Silvio Berlusconi, ai tempi del Global Forum il premier era Giuliano Amato, alla guida di un esecutivo ‘tecnico’ di centrosinistra. Il ministro degli Interni era l’esponente ‘democratico’ Enzo Bianco, attivo poi anche nell’organizzazione della sicurezza del G8 di Genova assieme agli uomini dell’allora Alleanza Nazionale di Gianfranco Fini.

E a proposito di Genova 2001 è stato interrogato ieri mattina nell’ambito del processo a suo carico per falsa testimonianza Luca Cinti, vicequestore di polizia e dirigente del Reparto mobile di Bologna nei giorni durante il G8.

Il 20 luglio, poco dopo le 15, il reparto mobile di Bologna, comandato da Cinti, caricò i manifestanti pacifici riuniti in piazza Manin e arrestò due ragazzi spagnoli accusandoli di resistenza. Gli agenti sostennero che i due fossero armati di spranga e molotov, ma poi un provvidenziale video scagionò i due inermi manifestanti. I quattro poliziotti responsabili dell’arresto (Antonio Cecere, Luciano Berretti, Marco Neri e Simone Volpini), sono stati già condannati in via definitiva a 4 anni di reclusione e 5 anni di interdizione dai pubblici uffici per “falso e calunnia” e sono attualmente sospesi dal servizio (ma non in carcere).

Nell’ambito del processo di primo grado contro i quattro, Cinti (che era il loro superiore) testimoniò in aula di aver visto il momento dell’arresto aggiungendo che uno dei due arrestati aveva in mano una spranga. Di fronte alla visione del filmato, che mostrava invece i due spagnoli assolutamente disarmati, Cinti affermò che non era certo che si trattasse proprio dei due spagnoli arrestati. Nel tentativo di giustificarsi, ieri in aula Cinti ha detto “Non abbiamo arrestato i due spagnoli, probabilmente in Questura è stato fatto qualche pasticcio”, di fatto sostenendo che i suoi sottoposti avevano arrestato due manifestanti di cui uno armato di spranga, in un episodio distinto da quello del fermo dei due spagnoli. Peccato però che i due giovani siano stati gli unici arrestati in piazza Manin in tutta la giornata del 20 luglio. E peccato anche che la fantasiosa e bislacca tesi difensiva di Cinti non sia stata utilizzata prima dai suoi agenti già condannati per lo stesso episodio.

La Rete No Global presento’ un libro bianco sui pestaggi, raccogliendo le testimonianze dei ragazzi della ‘Raniero’. Pero’ ad accusare i poliziotti, nel corso del tempo, sono rimasti in pochi. Il reato di sequestro di persona era l’unico non ancora prescritto.

Qui sotto, ZONA ROSSA_noblogbal forum napoli 2001, Il video prodotto dal movimento napoletano, in collaborazione con CandidaTV & Indymedia Italia, sulle 4 giornate di marzo 2001 contro l’OCSE. (Verso la fine del sono documentate le violenze perpetrate in piazza e sono riportate alcune testimonianze sugli abusi dentro la caserma “Raniero”):

Napoli 2001: impuniti gli agenti che pestarono i manifestanti.